Egisto Taino per “Utopia possibile”, numero 0, luglio 1988, p. 21.
Ho visto sul tuo volto la tristezza che presto si dissolveva nel sorriso della speranza, ed ho letto nei tuoi occhi la voglia di vivere, il conflitto tra la malattia ed il desiderio di serenità.
E vinceva la carica fiduciosa che avevi. Riuscivi a credere in te stesso e negli altri e dimostravi la partecipazione ai sentimenti ed agli interessi degli altri: dimenticavi il dolore e la preoccupazione che quotidianamente ti accompagnavano per buttarti nella spensieratezza e nella disponibilità.
La sofferenza poi, ha segnato sempre di più la tua vita. Quei grandi occhi sul tuo viso scarno esprimevano sempre più la rassegnazione, lo sconforto, la angoscia, la disperazione.
Ti ho assistito impotente rispetto ad un evento purtroppo ineluttabile. Ho vissuto io stesso la rabbia nel vederti rinunciare alla speranza, ho provato il rancore quando ti ho visto gettare la spugna.
Non ho saputo vedere il coraggio nell’accettazione della morte, la dimensione terrificante ed esasperante di un dolore senza sbocco, il rifiuto di una vita che ormai ti offriva solo vessazioni.
Volevo solo che tu vivessi, senza capirtà pretendevo tu lottassi all’infinito e ti spingevo a trovare una forza che ormai non avevi più.
Me ne rammarico, anche se era il mio modo di dimostrarti quanto tenessi a te, quanto ti fossi affezionato: non accettavo l’idea della tua morte.
Infine la morte, inevitabile, prevista, comunque disorientante. Nel tumulto di sensazioni che scatena, al naturale dolore per la tua scomparsa, si è affiancata l’umana comprensione per la fine di una drammatica malattia, ed il senso di liberazione dal male è prevalso.
Ora vivi nel ricordo, riacquistando sembianze miti e serene, facendo rivivere il piacere ed il rimpianto della tua compagnia non più offuscati dalla sofferenza.