Esiste un mondo che nessuno vuole vedere. Un mondo di persone che meglio che non si vedano, rovinano i quartieri delle città, rovinano le città, rovinano tutto… ma prima di tutto si rovinano. E se vogliono rovinarsi che lo facciano da soli e che stiano ai margini, lontani, dove non li vediamo e possiamo dimenticarli.
Ma nel nascondere ci dimentichiamo che quelle persone fanno parte della nostra società, accanto a loro ci sono le persone che conosciamo, che ci servono il caffè al mattino, che ci aprono il conto in banca, che curano i nostri figli… sono i familiari, i parenti, i compagni e mariti/mogli e amici di chi non vogliamo vedere! Con quale vergogna la panettiera del paese ha un figlio che usa cocaina… usa cocaina così tanto da non riuscire a vivere una vita socialmente accettata! E con quale vergogna si occupa del figlio e con la stessa vergogna apre il negozio tutti i giorni chiedendosi se la voce del paese si diffonde.
E la stessa vergogna la prova la tabaccaia di fronte… e nel silenzio e nella vergogna non sanno di condividere un dolore.
Allontanare e nascondere genera vergogna.
E poi ci sono i professionisti che si occupano di loro… e lo fanno con orgoglio, a testa alta senza vergogna! I professionisti che si sono formati nel tempo, che sono cambiati: prima mossi da sentimenti e passioni e dalla “pancia”, via via sono diventati formati, e via via nel tempo sono arrivati gli standard di accreditamento da rispettare. E la pancia, il desiderio di combattere l’isolamento hanno lasciato spazio a teorie e modelli creando una grande distanza… e alla fine il lavoro con la persona “deviante”, per reato o per sostanza, diventa il lavoro educativo di scarto! Il lavoro che si fa in attesa di altro… e di nuovo sempre più invisibili.
L’educatore di comunità, non per minori ma per adulti, nessuno sa che esiste… nessuno sa perché meglio nascondere le persone di cui si occupa. E di nuovo gli standard di accreditamento: solo gli educatori, meglio se sanitari, possono agire in questi contesti. Va bene, ma la multidisciplinarietà della cura? Va bene, ma sanno che ci siamo? Va bene, ma la passione di far questo?
È ora di dire basta. Siamo professionisti… non siamo meno dell’educatrice del nido (che accetta di farsi chiamare maestra e annulla la sua professionalità) o della materna, a cui affidiamo i nostri figli. Siamo professionisti e come tali dobbiamo iniziare a trattarci e farci trattare, e per il rispetto delle persone di cui ci prendiamo cura dobbiamo combattere per il nostro riconoscimento, combattere per la nostra visibilità perché questa è la strada per darci dignità e darla alle stesse persone che condividono con noi un pezzo della nostra vita.
Una guerra alla formula della reperibilità in loco, come in modo tecnico viene definita la notte passiva. Ma quale guerra alla notte passiva?!? La guerra è sul riconoscimento della notte… passiva è e può restare… ma nel quadro generale la retribuzione della reperibilità, agìta fuori casa, porta a 8 notti fuori dalla propria abitazione. Operatori notturni e peer educator? Sì, ma poi chi pensa alla qualità di ascolto offerta… alla qualità del servizio offerto? 8 notti fuori casa per sì e no 1000 euro? Chi? Resta la qualità ma per quanto può reggere 8 notti al mese per 1400 euro +38 ore attive? E quale senso delle notti? Solo quando smetti di farle lo capisci: il bello di condividere con loro una giornata, la pesantezza di una caldaia che va in blocco tutte le notti e al mattino manca l’acqua calda… sì, le comunità sono vecchie, vecchi edifici ai margini, da una parte favoriscano l’isola felice per il tossico, dall’altra di nuovo il tossico lontano.
Qualcuno dice scherzando che il terzo settore dovrebbe scioperare per 1 ora… no, dovrebbe scioperare per una settimana e si vedrebbe la sua assenza. Le forze dell’ordine avrebbero meno alleati sul territorio e negli istituti. Le mamme non saprebbero dove mettere i figli, le mense e i dormitori chiusi, riempirebbero le strade di chi non vogliamo vedere.
Ridiamo dignità alle persone. Alziamo la testa e cambiamo il sistema. Ricordiamoci per primi che esistiamo. Ricordiamoci che dar l’esempio di ribellione è una cura per i ribelli di cui ci curiamo.
Siamo ad un passo dal chiudere i servizi, per mancanza di personale e per mancanza di passione. Le strade e le città saranno piene di chi non vogliamo vedere… ma andrà bene anche così. Sarà una vittoria. La vittoria contro gli invisibili.
Ilaria Rocca