Non credo che abbiamo nelle nostre mani la possibilità di contrastare il traffico illecito di droghe e il consumo che ne deriva. Tuttavia, abbiamo la possibilità di una giornata ricorrente come il 26 giugno, in cui accentuare la riflessione sul nostro operare nel contrasto alle conseguenze di un sistema che ci sovrasta.
Il mercato mondiale delle droghe, come altri mercati, è sordo al lamento delle derive in cui condiziona milioni di individui. Il massimo profitto è l’unico indicatore ascoltato, e ciò è evidente dalla specializzazione per cui, in ogni parte del mondo, prevale una sostanza piuttosto che un’altra, in base alle caratteristiche culturali e alla capacità di spesa dei vari popoli. Dove necessario, vengono create sostanze chimiche adatte a soddisfare i diversi contesti; un esempio è rappresentato dalla guerra, con il proprio corollario di sostanze funzionali alla situazione.
Di fatto con il “processo di razionalizzazione” e all’enfasi conseguente sul valore della tecnica come strumento di soddisfazione dei bisogni: abbiamo lasciato il mondo della natura per l’oggettivazione delle cose, inclusi noi stessi.
Probabilmente, l’uomo arcaico, legato a miti e alla natura come sistema regolatore, può apparire ingenuo; ma, di fatto, il sentirsi parte di un tutto permette l’autoregolazione dello sfruttamento delle risorse.
Infatti nel passato attraverso le credenze ed i miti anche le sostanze trovavano una loro collocazione, e raramente potevano essere utilizzate in altro modo.
Non credo si possa tornare indietro rispetto all’epoca moderna dell’antropocene. Ma utilizzando lo stesso metodo possiamo cambiare significato alle cose. Se per esempio la ketamina è un sedativo per uso veterinario, è mantenendo quel significato alla ketamina che avrò l’uso indicato in veterinaria. Ma se permettiamo al mercato di: “costruire scenari adatti al consumo improprio di ketamina con musica sparata ad alto volume, aggregazione con un certo tipo di ballo e ambientazione, più altri ingredienti attrattivi in certe fasce di età.” Ho il potere di cambiare il senso della parola ketamina in “divertimento per giovani,” creando dal nulla la platea di fruitori di un nuovo prodotto.
Quindi, rispetto all’argomento di cui ci occupiamo, sono convinto che l’unica strada percorribile per contrastare il consumo sia di natura culturale. Se il profitto non ha limiti, e nel mercato della droga i profitti sono enormi e spesso attigui o funzionali ad altri profitti (come nel commercio di armi, nella tratta di esseri umani, nella prostituzione, nel gioco d’azzardo, ecc.), e in questo mercato possiamo includere anche le spese per il contrasto e la cura dei consumatori, come conseguenza diretta delle sue nefaste conseguenze.
La vendita di droga è basata sul convincimento dei benefici e su una realtà illusoria costruita attraverso il marketing, il modo per contrastarla risiede semplicemente nel non acquistare il prodotto. La cultura della sobrietà, se sostenuta in modo convinto, potrebbe indurre milioni di persone a non consumare droghe. Questo è forse l’unico potere che abbiamo nel mondo mercantilizzato in cui l’essere umano è ridotto a un oggetto tra gli altri. Tuttavia, per esercitare questa scelta, è fondamentale che alla base della cultura ci sia un adeguato processo di formazione alla consapevolezza di sé. Lo Stato democratico ha bisogno di maturare la convinzione che non necessariamente le forme del mercato e quindi capitaliste vanno in qualche modo sempre scusate nel loro agire.
Le istituzioni educative hanno il compito di preparare le persone a saper pensare e poter contare su se stesse per la soddisfazione dei bisogni. La famiglia in qualsiasi sua declinazione va sostenuta e difesa dalla sorda e cieca invadenza della legge del profitto. Con questo voglio sostenere che la lotta alla droga si può fare solo a patto che il popolo sia preparato e consapevole e abbia nelle strutture dello Stato un alleato.
Maurizio Mattioni Marchetti