Maurizio M. Mattioni, storico pedagogista ed Educatore di Famiglia Nuova, attualmente allo SMI Broletto di Lecco, ci invia queste sue osservazioni, e importanti suggestioni, sul nostro essere nel mondo del lavoro nei servizi per le dipendenze, di come stare accanto alle persone che a noi si rivolgono, cosa offrire per rispondere alla loro richiesta di aiuto.
Come mettersi nei panni altrui? Come conoscere il mondo esistenziale dell’altro?
Utilizzando l’analitica esistenziale di Heidegger o, meglio, il suo linguaggio per descrivere il mondo, proviamo a entrare nella realtà di un consumatore di sostanze da cui è dipendente. L’“essere-nel-mondo” indica uno stato in cui si è sempre già immersi nella realtà delle cose e il sentire emotivo rappresenta il modo in cui la percezione apprende ad utilizzare gli oggetti a disposizione, nella loro potenzialità.
La variabilità di senso con cui investiamo l’esistente consente un’ampia discriminazione nell’interpretazione delle situazioni; in base a questo, possiamo ricavarne più o meno beneficio in termini di utilizzabilità per il benessere. Pertanto, la cura nell’esserci ci consente di trarre dall’utilizzo delle cose il significato riguardo a come spendiamo la nostra temporalità nel corso di passato, presente e futuro.
Le giovani generazioni sono messe in condizione di consapevolezza dell’esserci, sufficienti a svelare le loro potenzialità esistenziali? La risposta sembra negativa, poiché gli oggetti e gli enti prevalgono sull’essere-nel-mondo. Lo strumento tecnico, concepito originariamente come ausilio, è diventato un’esistenza dalla quale si dipende per la propria sopravvivenza. Così accade anche per il consumatore: una volta sviluppata una dipendenza dall’oggetto, questo assume il ruolo di unica fonte di senso nel proprio sistema identitario, restringendo l’orizzonte dell’essere-nel-mondo a ogni altro possibile significato.
Questa è la situazione che ci troviamo ad affrontare rispetto ai giovani consumatori che nella maggior parte dei casi sono privi degli strumenti conoscitivi necessari per elaborare un pensiero alternativo. L’orizzonte della presunta soddisfazione dei bisogni è completamente assorbito dall’oggetto da cui dipendono, diventando l’unico orizzonte del proprio mondo.
In questa condizione quale relazione può modificare uno stato esistenziale disfunzionale? La risposta, spontanea, è la certezza che non si interrompe il comportamento dipendente offrendo “oggetti alternativi. Perfino approcci strumentali come la somministrazione farmacologica o le tecniche dialogiche sembrano destinati al fallimento, poiché non agiscono, o agiscono poco, sull’esistenzialità della situazione dell’essere-nel-mondo.
Solo un’esperienza di torsione nell’investimento del senso dell’essere-nel-mondo può spostare la visione degli esistenziali e cambiare l’assetto della fruibilità delle cose a disposizione dell’esserci, per abitare la propria realtà.
Se il cambiamento di senso per una persona dipendente dall’oggetto non può consistere nell’offrirgli ulteriori oggettualità, né sole proposte di somministrazione di farmaci o astratte richieste di cambiamento, allora l’unica risorsa e risposta rimasta è quella di stare accanto a queste persone, attraverso un accompagnamento mirato a mostrare un altro orizzonte possibile. Così il modo in cui si sta accanto, nel luogo in cui avviene l’incontro, diventa elemento essenziale in un processo trasformativo.