E don Leandro Rossi è stato costretto a lasciare la parrocchia
Leandro Rossi, “Adista Documenti” n° 46 del 11 giugno 1994
Sono prete da 37 anni e da 17 vivo con i tossici in una comunità: «La Famiglia Nuova». Li ho presi in casa, la casa canonica di cui godo perché parroco. Da un po’ di tempo, però, il vescovo e il suo vicario fanno pressione perché me ne vada: «Non puoi fare il parroco e il responsabile di comunità. Scegli!». Mi sono trovato nella stessa situazione di sorella Amelia quando, venticinque anni fa, dirigeva la «Casa della giovane» alla stazione Termini di Roma. «Vado, replico lei, ma chi mandate al mio posto?». «Nessuno», fu la risposta. Così Amelia dovette, con le lacrime agli occhi, rinunciare a fare la suora per non rimettere le sue ragazze sulla strada da dove le aveva tolte.
Anche il mio aut aut tra parrocchia e comunità è diventato un chiaro pretesto per farmi lasciare i parrocchiani che servo da venti anni. Mi sono chiesto perché. Mi sento semplice come una colomba. Non sono certo avvezzo agli intrighi curiali. Non sono prudente come un serpente. Al mio «perché» i superiori non hanno offerto nessun motivo. Allora ho provato a cercarli da soli.
- Forse perché la mia comunità non ha l’etichetta della Caritas? Perché non è una comunità «confessionale», ma vi si accoglie chiunque, a prescindere dalla fede? La cosa, per un verso, mi ha dato maggiore libertà, perché i comunitari erano ospiti personali che vivevano nella mia casa. Ma questo, per un altro verso, era un legame per la curia, che ha preferito spezzarlo, sfrattandoci.
- O forse perché non è gradita la mia predicazione: da quando credo alla Chiesa dei poveri (ma senza retorica): da quando mi sono schierato per i tunisini sfrattati e non per il ricco possidente; da quando mi sono trovato sulle posizioni del Papa, al tempo della guerra del Golfo. Pare che mi si suggerisca: «Dire che si è con i poveri va bene; ma crederci proprio non è ammissibile!».
- O forse perché non ho votato Partito Popolare; anzi ho detto (ma non in Chiesa) e scritto che avrei votato progressista. Si può essere di centro destra, ma di centro sinistra no. Proprio come non potevi essere prete operaio, ma potevi essere prete accademico o professore. Contro la dignità del prete sono le tute blu, non i colletti bianchi! Puoi essere il prete dei commercianti (e commerciante tu pure) o il prete degli industriali, ma il prete contadino e degli emarginati NO!
- C’è un’ultima ipotesi. lo posso fare il prete (per ora), ma non il parroco, neppure di 300 abitanti. Perché come parroco ho un ruolo istituzionale, come l’avevo quando ero teologo. Ora questi ruoli vengono strappati a chi vuole essere libero, responsabile e creativo (come vuole lo Spirito) all’interno del sistema. Si può solo essere sottomessi ai gerarchi e ripetere la «voce del padrone». Il prete non è un libero profeta di Dio; ma uno schiavo prefetto del Vaticano, Dio ha fatto il prete, ma il diavolo ha fatto la casta, spegnendo il prete. Coscienza e istituzione sono inversamente proporzionali!
Malgrado il non senso, ho cercato di dare un senso alla mia vita, imparando e ribadendo la lezione dei fatti, senza lasciare turbato il mio spirito.
Amico del Vescovo, ma più amico della verità e della libertà di fare bene.
Le ingiustizie (apparenti o reali) vanno contestate, specie quando riguardano gli altri. Ma – come nonviolento – non conservo nessun rancore verso il vescovo, né ho misconosciuto l’autorità. Ho ubbidito in piedi, senza tradire la coscienza, ove, per me, si esprime (prima e più ancora che nel superiore) la vera volontà di Dio. Il mio servizio sacerdotale a favore dei poveri, sarà ancora più prezioso, ora che ne condivido la sorte e l’emarginazione.
La libertà va pagata, ma la Provvidenza pensa a ricompensarti. Sempre.