Nel 2019 sono state 2531 le nuovi infezioni da Hiv in Italia, 571 segnalazioni di nuovi casi di Aids dei quali il 70% costituito da persone che non sapevano di vivere con l’Hiv.
L’emergenza Covid schiaccia tutte le altre patologie e il distanziamento fisico avrà impedito anche nel 2020 un aumento della diffusione da Hiv. il timore è che nelle pause tra i lockdown e a pandemia superata la gioia di vivere allo scampato pericolo ci fiondi in comportamenti ad alto rischio di acquisizione dell’Hiv, trascurando successivamente l’accesso ai test.
Troverete nel Bollettino COA dell’ISS, Vol. 33 n. 11, novembre 2020, molte informazioni e dati relativi a Hiv e Aids nel 2019, rappresentati con grafici molto chiari ed evidenti: tra essi è riportata l’alta incidenza di nuove infezioni da Hiv sulla popolazione residente nelle province di Lodi, Como e Piacenza e l’incidenza regionale in Umbria, entrambe superiori alla media italiana: di seguito alcune note, di rilievo nazionale, che ritengo interessanti per il dato sociale che esprimono.
Bruno Marchini
Bassa percezione del rischio alla prima diagnosi HIV: Fattori demografici e socio-economici
Maria Dorrucci, Vincenza Regine, Lucia Pugliese, Barbara Suligoi
Dipartimento di Malattie Infettive, ISS
In Italia, circa il 40-60% delle persone sieropositive viene diagnosticata in una fase avanzata dell’infezione da HIV e la proporzione di queste diagnosi tardive non sembra diminuire sostanzialmente dal 2010. Questo potrebbe essere dovuto a una bassa percezione del rischio di contrarre l’infezione da HIV nella popolazione generale. La bassa percezione del rischio può essere conseguente a diversi fattori come l’idea, ad esempio, che l’HIV non sia più un problema di salute, grazie all’elevata efficacia dei trattamenti antiretrovirali, cosi come anche alla paura e/o allo stigma legati a un’eventuale diagnosi positiva.
Al fine di studiare la percezione del rischio di contrarre l’infezione da HIV, abbiamo utilizzato i dati del Sistema nazionale di sorveglianza HIV considerando le nuove diagnosi di HIV con età 18-85 anni segnalate tra il 2010 e il 2016. Il motivo che ha condotto all’effettuazione del test HIV, riportato sulle schede del Sistema di sorveglianza, e stato utilizzato come “proxy” della percezione del rischio ed e stato classificato in tre gruppi. Abbiamo assegnato un livello di percezione bassa, quando il motivo per il test riportato era “sintomi correlati all’HIV”; moderata, quando il motivo era “check-up per malattie diverse dall’HIV”; alta, quando il motivo del test era conseguente a comportamenti a rischio (ad esempio, rapporti sessuali senza preservativo).
Oltre alle caratteristiche individuali delle nuove diagnosi come l’età alla prima diagnosi (età > 40 vs ≤ 40), il sesso (maschi vs femmine), la modalità di esposizione (eterosessuali vs maschi che fanno sesso con maschi – MSM e l’uso di droghe per via iniettiva – injecting drug users, IDU vs MSM), la nazionalità (italiana vs non italiana) e la zona geografica di residenza (Centro vs Sud, Nord vs Sud), abbiamo preso in considerazione degli indicatori socio-economici forniti dall’ISTAT, quali l’istruzione (bassa vs media, alta vs media) e la deprivazione (bassa vs media, alta vs media). Questi indicatori sono stati assegnati agli individui (nuove diagnosi) a seconda della Regione di residenza, assumendo un criterio prettamente statistico, in altri termini, assegnando i livelli basso, medio ed elevato, tenendo conto dei terzili della distribuzione di tali indicatori a livello regionale (1).
Lo studio ha incluso 18.055 individui: 27% con bassa, 40% moderata e 33% con alta percezione del rischio HIV.
Sono riportati i risultati relativi all’analisi multivariata, applicando un modello logistico ordinale con variabile-risposta: bassa percezione vs alta percezione del rischio di infezione da HIV. Come si vede dalla Tabella, sono risultate associate a una scarsa percezione del rischio di infezione da HIV: le persone con età superiore a 40 anni, le persone di genere maschile, gli individui che avevano acquisito l’HIV per via eterosessuale, gli IDU, gli individui che risiedono in Italia Centrale, le persone
con un basso livello di istruzione, le persone residenti in aree a bassa o ad alta deprivazione rispetto a quelle residenti in aree a media deprivazione.
Tabella – Variabili associate a una bassa percezione del rischio di HIV; analisi multivariata, modello logistico ordinale (n. 18.055 nuove diagnosi)
- Età alla diagnosi > 40 vs ≤ 40 anni 1,59 (1,50 – 1,69)
- Sesso Maschi vs femmine 1,30 (1,20 – 1,40)
- Modalità di trasmissione Eterosessuale vs MSM 1,96 (1,83 – 2,11), IDU vs MSM 1,82 (1,59 – 2,08)
- Non riportata vs MSM 2,54 (2,27 – 2,83)
- Nazionalità Straniera vs italiana 1,06 (0,98 – 1,13)
- Area geografica Centro vs Sud 2,11 (1,37 – 3,24), Nord vs Sud 1,54 (0,88 – 2,69)
- Anno di diagnosi 2016 vs 2010-2015 1,01 (0,92 – 1,12)
- Istruzione Bassa vs media 1,74 (1,20 – 2,54), Elevata vs media 1,44 (0,93 – 2,22)
- Deprivazione Bassa vs media 1,58 (1,14 – 2,18), Alta vs media 2,33 (1,39 – 3,90)
Odds ratio aggiustato per Provincia di residenza (intercetta random), caratteristiche demografiche, istruzione e deprivazione; (b) basso, medio e alto livello di istruzione: tasso di istruzione rispettivamente inferiore al primo, secondo e superiore al terzo terzile dei tassi di istruzione calcolati dall’ISTAT, stimati come percentuale di individui con almeno il diploma della scuola; (c) basso, medio e alto livello di deprivazione: tasso di deprivazione rispettivamente superiore al primo, secondo e inferiore al terzo terzile dei tassi di deprivazione calcolati dall’ISTAT, stimati come percentuale di famiglie con serie difficolta economiche.
In conclusione, alcuni gruppi di popolazione sembrano essere meno consapevoli del rischio HIV (maschi, persone più mature, eterosessuali, IDU, residenti in Centro Italia, con basso livello di istruzione). In particolare, appare rilevante l’associazione sia con una bassa che con un’alta deprivazione, suggerendo che il rischio di infezione viene sottostimato sia dagli strati sociali che hanno un buon livello di benessere che dagli strati sociali a basso livello socio-economico.
Questo studio sottolinea la necessita di condurre campagne di prevenzione rivolte non solo alle persone più deprivate o vulnerabili (migranti, IDU, giovani, donne), come sarebbe auspicabile, ma anche ai sottogruppi di popolazione con una buona condizione di benessere e che vengono spesso considerati a minor rischio.